Scempiaggini volanti

Caro Diario,

Oh, l’incessante stillicidio delle sciagure che affliggono i nostri tempi! Oggi mi trovavo di fronte a una situazione di una viltà tale da far impallidire i gigli dei nostri campi e far rabbrividire i denti delle menestrelle nelle loro rime canterine. Sono stata chiamata a pronunciare il mio giudizio su una proposta di espansione del malandato aeroporto della mia amata Parma, uno scempio e un insulto al buon gusto aristocratico che ancora grida nella mia anima, almeno quanto griderebbe alle orecchie dei miei amati sudditi il frastuono delle carrozze volanti per il trasporto delle mercanzie, detti cargo.

Con l’aria sprezzante e la grazia tipiche di una duchessa, ho accolto i messaggeri dei comuni mortali che si permettevano di chiedermi consiglio su tale vicenda, uno dei quali addirittura dal triplo cognome e dalle auguste ascendenze. Quelle creature si pavoneggiavano davanti a me con il loro debole argomentario, nominato masterplan con vezzo albionico, farneticando di utilità economica e di connettività mondiale. Come osavano tentare di sedurre la mia nobile ragione con tali melodie volgari! Quando poi, ohibò, nemmeno una diligenza alata conduce a Parigi, dove potrei recarmi in visita al mio imperiale consorte.

Ho ascoltato le loro parole, eppure i miei pensieri si sono perduti in un vortice di disprezzo. Ho quindi preso in mano la mia penna e ho scritto una risposta affilata come una spada adornata, pronta a colpire le loro speranze sperdute. Mi sono concessa una gioia sinistra nell’arricciare le lettere, inchiostro scuro come l’abisso della loro insensatezza.

“Cari concittadini”, ho iniziato, “permettetemi di esprimere la mia commozione per la vostra audacia nel rivolgervi a me per il mio giudizio. Tuttavia, devo informarvi che la vostra proposta di espandere l’aeroporto locale è tanto ridicola quanto il vestito di un pagliaccio durante una celebrazione reale.”

Ho continuato a ricordare loro la nobiltà delle nostre terre, la delicatezza delle nostre tradizioni e l’immortalità della nostra eredità culturale. Li ho scherniti per la loro cecità nell’apprezzare la bellezza e la maestosità che permea il nostro regno.

“Inoltre”, ho scritto con un pizzico di beffa, “non mi sembra che il vostro disastroso aeroporto in declino richieda un’espansione. Forse, invece, dovreste più saggiamente considerare di farne campi di pallacorda o arena per ludi equestri”

Ho concluso la mia lettera con un’accorata invocazione per il loro ritorno alla ragione e per l’abbandono delle loro ridicole ambizioni. “Nobilissimi sudditi, fatevi coraggio”, ho scritto con sarcasmo acuto come il taglio di un fioretto. “Il vostro aeroporto può cadere nel dimenticatoio come una piuma spazzata via dal vento, mentre noi, nobili spiriti, continueremo a governare queste terre con grazia e magnificenza.”

Oh, caro diario, mi sono deliziata nel redigere questa risposta. La mia penna danzava sulla carta come una ballerina in un ballo raffinato. È giunto il momento di far risuonare la voce dell’aristocrazia e di smascherare le sciocchezze dell’era moderna. Non c’è spazio per l’espansione di un aeroporto in fallimento in questo mondo di eleganza e raffinatezza.

Che le mie parole risuonino per secoli a venire, a perenne ricordanza della mia saggezza regale.

Tua Duchessa

M.L. d’Asburgo-Lorena

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