L’eredità di Mohamed Choukry

di Francesco Dradi

Guarda il video con testimonianze di Giuseppe Doria, Leandro Capraro e Kawtar Choukry

La presenza di Mohamed Choukry è ancora viva. Il segno di chi, strappato bruscamente alla vita, lascia una traccia indelebile nella comunità. Una vita semplice, di chi povero, emigra e lavorando sodo costruisce un presente per sé e la famiglia, svolgendo un ruolo attivo nella comunità, lasciando un’impronta per il futuro.

Lo shock è ancora forte a sei mesi di distanza da quella mattina di sabato 7 gennaio. Non erano ancora le 5.30, in strada Traversetolo, al Botteghino, quando Choukry dopo aver vuotato un bidone si accingeva a salire al posto di guida del camion della raccolta differenziata della carta e, invece, venne centrato in pieno da un automobile che correva troppo.
Lo sgomento ha segnato i colleghi di lavoro della cooperativa sociale Cigno Verde, che svolge il servizio di raccolta rifiuti per conto di Iren. Gli operatori presenti sul posto, che condividevano il turno di lavoro, e poi il caposquadra e il presidente accorsi non poterono che far fronte al dolore per la morte di Mohamed.

A fine mese è fissata la prima udienza del processo per omicidio stradale, ipotesi di reato a carico dell’investitore, un 52enne parmigiano che dopo una nottata di bagordi stava rientrando a casa, con un tasso alcolemico probabilmente troppo alto per guidare. Saranno i giudici a stabilirlo.

Anche Mohamed Choukry era parmigiano, da oltre 30 anni. Tanto che un paio d’estati fa aveva investito tutti i suoi risparmi per acquisire licenza e locali di una gelateria in via Garibaldi, per farne una piccola impresa di famiglia, per dare un lavoro e una stabilità alle tre figlie, Kawtar, Zineb, Khadija. Mentre il figlio Zakaria sta tentando l’avventura nel mondo del calcio, ha 20 anni e delle chance in serie D.

Sul papà si potrebbe scrivere un libro – racconta Kawtar Choukrytante ne ha fatte e passate. Aveva 59 anni. Nacque a Casablanca, a 11 anni morì suo padre, erano undici fratelli e molto poveri. La povertà lo spinse ad emigrare, con un amico, e nel 1987 arrivò a Roma, in treno. Ma lì non aveva contatti, né trovò lavoro. Mangiava alla Caritas e dormiva all’addiaccio, anche sotto i ponti. Quando eravamo piccoli spesso ci raccontava che una volta nevicò, e lui era sotto un ponte. Faceva molto freddo e dormì abbracciato con l’amico, per scaldarsi. Al mattino si risvegliò con un principio di assideramento ai piedi. Dopo un paio d’anni di precarietà decise di salire al nord, scese casualmente a Parma e subito trovò un’offerta di lavoro come manovale. Nel ‘91 fu assunto come muratore e poi divenne camionista. Non c’era la facilità delle comunicazioni di oggi. Quando poteva permetterselo comprava una scheda telefonica e chiamava a casa per pochi minuti. Era fidanzato ma solo nel 1990 poté tornare in Marocco e sposare la mia mamma, Fatima. Nel ’91 sono nata io. E poi Zenib. Solo nel ’94 potemmo trasferirci a Parma per il ricongiungimento. Khadija e Zakaria sono nati qui.
Mio padre era molto legato a Parma, aveva trovato il lavoro, si era stabilito e si sentiva a casa. La trovava una realtà tranquilla dove crescere bene la famiglia. Era divenuto cittadino italiano nel 2008 e noi con lui. Era contento di questo ma sinceramente il sentiero che porta all’integrazione è ancora lungo. Di questo si rammaricava. L’ignoranza è il vero problema, ci diceva e anche noi ne siamo convinte”.

Il tema mancata o difficoltosa integrazione potrebbe occupare un intero capitolo del libro di cui si accennava sopra. Uno degli aspetti che, si può dire, ha lasciato in Mohamed grande rammarico è la questione della moschea. “Era molto attivo nella comunità islamica – dicono Kawtar e Zineb Choukrye il suo impegno in particolare era rivolto ad avere un luogo di culto che ancora non c’è a Parma. Questa mancanza è un segno di malessere per molti di noi. Siamo parte integrante della società, siamo cittadine italiane, qui viviamo, i giovani nascono qui, lavoriamo e paghiamo le tasse. Integrazione non vuol dire essere uguale agli altri, ma accettarsi ognuno per com’è e per come vive, nel rispetto delle diversità di culture”.

E arriviamo alla gelateria, come simbolo di questa integrazione, cercata, voluta di chi ha radici marocchine ma vive e respira italianità. La Mirage l’hanno voluto chiamare, le tre sorelle Choukry, una parola francese che si traduce in “miraggio” ma può assumere anche il significato di “utopia” o, in fondo, di “sogno” da realizzare: “era il sogno diventato nostro, del papà e di noi”.

Ho lavorato come stagionale qui, anni fa, quando si chiamava gelateria Pilotta e mi ero trovata bene – racconta Kawtardopo la pandemia reincontrai la titolare che voleva vendere, ma la cifra che chiedeva era molto alta. Qualche mese dopo ha calato molto il prezzo e proprio in quel periodo il papà aveva ricevuto il Tfr dall’azienda in cui ha lavorato per trent’anni, la Ediltor. A lui piaceva quell’idea, di un’attività di famiglia come una gelateria nel centro della città che sentiva come sua. E così ha investito tutto il Tfr per rilevare la gelateria, nell’agosto del 2021. Le cose sono andate bene e nel novembre scorso abbiamo deciso di rinnovare completamente i locali, per farne una gelateria moderna e più accogliente. Ma senza di lui non ce l’avremmo fatta. Era un bravo muratore e quando finiva il turno in cooperativa si riposava un’ora e poi veniva qua, tutti i giorni per due mesi, fino all’incidente… ha lasciato l’ultimo muro stuccato a metà. Mancava quello e la sostituzione della vetrina, per terminare”.
Tutt’a un tratto la vita si è fermata. – dicono Kawtar e ZinebPapà era il pilastro della famiglia, è sempre stato una sicurezza e una certezza, pensava a tutto lui. E all’improvviso senti che non c’è più. Nei momenti di vera difficoltà ci è stata molto vicina la cooperativa Cigno Verde, dove lavorava papà, una vicinanza concreta e con un’enorme sensibilità”.
Dopo la stagione estiva pensiamo di aprire un’associazione a suo nome, per ricordarne le qualità e per fare opera di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale, nelle scuole e non solo. Abbiamo l’intenzione di farlo assieme alla cooperativa e all’associazione vittime della strada”.

Qui sotto foto di vita in famiglia di Mohamed Choukry con la moglie Fatima e i nipotini.

La morte di Choukry è stata causata da un incidente stradale ma poiché stava lavorando si pone immediato anche il tema della sicurezza sul lavoro. “Le indagine delle forze dell’ordine – dice Fabio Faccini, presidente della cooperativa sociale Cigno Verde – hanno appurato che il mezzo era accostato a bordo strada, oltre la linea, quindi in assoluta regolarità e rispetto dei dettami della sicurezza sul lavoro per la raccolta rifiuti. C’erano due mezzi: il primo raccoglieva la carta, ed era seguito a poca distanza dalla squadra della plastica. È una vittima della strada e non un infortunio sul lavoro: è stato scartato il fatto che fosse legato ad inadempienze sul lavoro, né sue, né dell’organizzazione. Tra l’altro ci sono danni anche all’automezzo”.

Choukry – aggiunge Faccini – è sempre stato un elemento di raccordo, era un donatore di sangue Avis, molto attivo nella comunità marocchina e nella comunità islamica ed era riconosciuto per questo. Sul lavoro era sempre molto collaborativo con tutti, tanto che era stato richiesto da altre realtà, dove avrebbe guadagnato di più, ma aveva deciso di rimanere qui.
Nelle immediatezze abbiamo fatto una giornata in cooperativa per ricordarlo, a cui è venuto anche il sindaco Guerra, molto apprezzato. E poi abbiamo attivato una raccolta fondi per sostenere la famiglia. In molti hanno accusato il colpo e per questo abbiamo organizzato degli incontri con gli psicologi di emergenza dell’associazione Sipem SoS Emilia-Romagna, che sono stati bravissimi”.

La cooperativa sociale Cigno Verde annovera 130 addetti di cui 40 per la gestione dei rifiuti. Il luogo di lavoro principale di Choukry era Langhirano con un turno 7-15 ma, di tanto in tanto, faceva turni notturni di raccolta rifiuti in altre zone.

Ci sono state molte riflessioni sulla sicurezza – spiega Leandro Capraro, responsabile delle squadre di raccolta differenziata della Cigno Verde – il nostro è un lavoro particolare, abbastanza pericoloso. Lavoriamo la maggior parte delle ore di notte, col buio. Soprattutto d’inverno al mattino resta buio. I turni sono 20.30 – 02.00 , poi 5.00-13 e un altro turno diurno 7.00-15.00. C’è quindi un problema di sicurezza duplice: da parte nostra occorre sempre l’accortezza di essere in sicurezza, con vestiario giusto, camion con luci di posizione e i lampeggianti sempre funzionanti. Ma da parte degli automobilisti ci vuole più responsabilità. Purtroppo c’è molta disattenzione alla guida: si usa il telefono e si distraggono facilmente. Non parliamo di chi si mette alla guida ubriaco o dopo l’uso di sostanze. E per questo recentemente abbiamo fatto dei corsi di sicurezza esplicitamente sul rischio strada per noi, sia nelle strade di scorrimento, come al Botteghino, sia nelle strade strette del centro. I nostri operatori devono sapere come comportarsi, col rischio che gli incidenti possano essere provocati da altri. Io lavoro nel settore da diversi anni, ma solo adesso debbo dire che quando sento gli operatori la mattina dico sempre “State attenti”.

Mohamed Choukry sul lavoro aveva fatto coppia inseparabile con Giuseppe Doria, (vedi la foto di copertina). Questo il suo ricordo: “Si era costruito un rapporto di amicizia molto stretto, tra me e Mohamed, lavoravamo in squadra da due anni. Quella mattina il camion era messo in sicurezza, fuori dalla carreggiata, la strada era libera, i lampeggianti accesi, noi vestiti con le giubbe arancioni. C’erano pochi bidoni ma era voluto scendere anche lui, gli aveva detto “sono pochi, faccio io”, ma lui era così, non stava fermo. Aveva finito, a me rimaneva da rimetterne uno a posto. Ero voltato, quando ho sentito…
Era una persona sempre allegra, sorridente. La sua ambizione era di sistemare i figli, ha sempre fatto tutto per la famiglia. Dopo la tragedia, abbiamo fatto incontri con gli psicologi e io sono rimasto fermo per un po’, non me la sentivo dato che non ce l’ho più di fianco. Adesso ho ripreso a lavorare. L’altro giorno per la prima volta sono tornato a fare il turno su quella strada… quando siamo arrivati nel punto dell’incidente non ce l’ho fatta e ho pianto”.

 

© Riproduzione riservata
Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi riceverne altri puoi iscriverti gratuitamente alla newsletter e sostenere con una piccola donazione Libera Informazione in Parma.

Condividi
0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *